Sacco e Vanzetti
Ferdinando Nicola Sacco (Torremaggiore, 22 aprile 1891 – Charlestown, 23 agosto 1927) e Bartolomeo Vanzetti (Villafalletto, 11 giugno 1888 – Charlestown, 23 agosto 1927) furono due anarchici italiani. Vennero arrestati, processati e giustiziati sulla sedia elettrica negli Stati Uniti negli anni venti, con l’accusa di omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio «Slater and Morrill». Sulla loro colpevolezza vi furono molti dubbi già all’epoca del loro processo; a nulla valse la confessione del detenuto portoghese Celestino Madeiros, che scagionava i due.
Sacco di professione faceva l’operaio in una fabbrica di scarpe, mentre Vanzetti – che gli amici chiamavano Trumlin – gestiva una rivendita di pesci. Furono uccisi sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927 nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham.
A cinquant’anni esatti dalla loro morte, il 23 agosto 1977 Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.
LETTERA DI SACCO AL FIGLIO DANTE
«Mio carissimo figlio e compagno,
sin dal giorno che ti vidi per l’ultima volta ho sempre avuto idea di scriverti questa lettera: ma la durata del mio digiuno e il pensiero di non potermi esprimere come era mio desiderio, mi hanno fatto attendere fino ad oggi. Non avrei mai pensato che il nostro inseparabile amore potesse così tragicamente finire!
Ma questi sette anni di dolore mi dicono che ciò è stato reso possibile. Però questa nostra separazione forzata non ha cambiato di un atomo il nostro affetto che rimane più saldo e più vivo che mai. Anzi, se ciò è possibile, si è ingigantito ancor più. Molto abbiamo sofferto durante il nostro lungo calvario.
Noi protestiamo oggi, come protestammo ieri e protesteremo sempre per la nostra libertà. Se cessai il mio sciopero della fame, lo feci perchè in me non era rimasta ormai alcuna ombra di vita ed io scelsi quella forma di protesta per reclamare la vita e non la morte, il mio sacrificio era animato dal desiderio vivissimo che vi era in me, per ritornare a stringere tra le mie braccia la tua piccola cara sorellina Ines, tua madre, te e tutti i miei cari amici e compagni di vita, non di morte. Perciò, figlio, la vita di oggi torna calma e tranquilla a rianimare il mio povero corpo, se pure lo spirito rimane senza orizzonte e sempre sperduto tra tetre, nere visioni di morte. Ricordati anche di ciò figlio mio. Non dimenticarti giammai, Dante, ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri e più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso. Aiuta i perseguitati e le vittime perchè essi saranno i tuoi migliori amici, essi sono i compagni che lottano e cadono, come tuo padre e Bartolomeo lottarono e oggi cadono per aver reclamati felicità e libertà per tutte le povere cenciose folle del lavoro. In questa lotta per la vita tu troverai gioia e soddisfazione e sarai amato dai tuoi simili. Continuamente pensavo a te, Dante mio, nei tristi giorni trascorsi nella cella di morte, il canto, le tenere voci dei bimbi che giungevano fino a me dal vicino giardino di giuoco ove vi era la vita e la gioia spensierata – a soli pochi passi di distanza dalle mura che serrano in una atroce agonia tre anime in pena! Tutto ciò mi faceva pensare a te e ad Ines insistentemente, e vi desideravo tanto, oh, tanto, figli miei! Ma poi pensai che fu meglio che tu non fossi venuto a vedermi in quei giorni, perché nella cella di morte ti saresti trovato al cospetto del quadro spaventoso di tre uomini in agonia, in attesa di essere uccisi, e tale tragica visione non so quale effetto avrebbe potuto produrre nella tua mente, e quale influenza avrebbe potuto avere nel futuro. D’altra parte, se tu non fossi un ragazzo troppo sensibile una tale visione avrebbe potuto esserti utile in un futuro domani, quando tu avresti potuto ricordarla per dire al mondo tutta la vergogna di questo secolo che è racchiusa in questa crudele forma di persecuzione e di morte infame. Si, Dante mio, essi potranno ben crocifiggere i nostri corpi come già fanno da sette anni: ma essi non potranno mai distruggere le nostre Idee che rimarranno ancora più belle per le future generazioni a venire. Dante, per una volta ancora ti esorto ad essere buono ed amare con tutto il tuo affetto tua madre in questi tristi giorni: ed io sono sicuro che con tutte le tue cure e tutto il tuo affetto ella si sentirà meno infelice. E non dimenticare di conservare un poco del tuo amore per me, figlio, perchè io ti amo tanto, tanto… I migliori miei fraterni saluti per tutti i buoni amici e compagni, baci affettuosi per la piccola Ines e per la mamma, e a te un abbraccio di cuore dal tuo padre e compagno.
Nicola Sacco».
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