Personale

“Dal Carcere”

Tempo fa ero ricoverato in ospedale perché stavo facendo uno sciopero della fame. Mio figlio, che mi è stato sempre  particolarmente vicino, era venuto in ospedale (per l’ennesima volta) per convincermi a interrompere il mio rifiuto  del cibo che, per motivi giusti o sbagliati, aveva superato i 40 giorni. Era preoccupato. L’ora di visita era  finita, e lui, al momento dei saluti, non riuscì a trattenersi. Aveva lottato contro se stesso per non lasciarsi  andare, ma, per la prima volta, l’ho visto piangere. Ero confuso, disorientato da quella reazione, e reagii a mia  volta in modo stupidamente duro: “Ma smettila di piangere!”, gli dissi, “Non è così che puoi chiedermi di tornare  alla ragione. E poi, cosa ne sai tu, sui diritti dei carcerati?”.

Lui si ricompose, mi salutò e andò via. Per mesi non mi ha fatto avere più sue notizie, finché non gli ho spedito  una lettera con una sola domanda: “Perché?”.

La risposta arrivò dopo circa tre settimane. Ampia e, considerato il tempo di attesa, sicuramente sofferta. Eccola.

 

La Risposta del figlio

 

So per certo che più che sapere il “perché” non mi sono più fatto sentire, vorresti sapere cosa pensa tuo figlio di  te. Vuoi essere giudicato da tuo figlio. Non è bello, e non è facile per me trovarmi in questa situazione, purtroppo non credo che potresti capire il disagio che ho provato in tutti questi anni, dal canto mio, non ho mai manifestato  obiezioni sul tuo modo di gestire le varie opportunità che la vita ti ha offerto.

I figli crescono, e col passare del tempo comincio a farsi spazio nella mente tanti pensieri e tanti dubbi. Ho  avuto la fortuna di avere accanto quella grande donna che è mia madre, mi ha fatto da guida fino ad ora, e lo farà  sempre. Mi ha cresciuto lei, si è spesso annientata per farlo e nonostante la sua poca cultura, è stata in grado di  tirarmi su con sani principi.

Anche tu hai fatto la tua parte, predicando bene e razzolando male. Un figlio ha bisogno di attenzioni costanti, e  non basta una lettera o un regalo per soddisfare un bisogno così necessario.

Sono cresciuto sapendo che potevo contare sulla tua presenza a sprazzi, senza quella certezza (basilare) che è il  padre come modello. Molte, troppe volte sei mancato, e nonostante tutto ti sono sempre stato accanto, ti ho sempre  difeso, ti ho sempre innalzato a idolo. Ma quando sono venuto a trovarti quell’ultima volta in ospedale, ho capito  che non sei quell’uomo forte che credevo.

Ho perso la fiducia in te, e non cè parola o cosa che tu possa fare per far tornare in me questo pilastro portante. Ripenso al momento in cui piangendo ti chiedevo di tornare alla ragione, e rivedo quella faccia, quella espressione  infastidita e orgogliosa impressa sul tuo volto mentre, con un tono di disprezzo, mi dicevi: “Ma smettila”.

Ho smesso. Ho smesso di star mal per te. Ho smesso di preoccuparmi di te. Ho smesso di pensare a te come ad un  padre.

Tu non mi conosci, non sai niente dei miei modi di fare, delle mie passioni e dei miei pensieri. Non mi sei stato  sufficientemente accanto per dire che mi conosci, eppure credi di poter gestire i miei sentimenti nei tuoi riguardi  come meglio ti aggrada.

I figli sono pezzi di cuore, si dice, e non appigli. Quante volte avremmo potuto stare assieme? Quante volte avremmo  potuto giocare? Quante volte avremmo potuto chiacchierare del più e del meno? Quanti compleanni, o eventi simili,  abbiamo perso? Troppi, e sono troppe le lacune. E tornare indietro non si può. Sappi che la bocciatura a scuola di  mia sorella, io l’attribuisco interamente a te, e nulla mi farà cambiare idea.

Hai passato una buona parte della tua giovinezza nelle carceri e sei cresciuto, col passare degli anni, con una  mentalità troppo egoista. Tutto ti è dovuto.

Pensi forse che me ne sia fregato qualcosa delle belle macchine? Pensi che se tu fossi stato un semplice “facchino”,  mi sarebbe importato qualcosa agli occhi della gente? Credi che fare insieme il tragitto da una parte all’altra  dell’Italia, per poi essere lasciato lì, dai nonni o tra sconosciuti, equivale a dire fare un viaggio assieme?

No papà, ti sbagli se credi che tutto ciò possa essere sufficiente. Quando avevo bisogno di te non ceri. Ora sono  grande, o, per lo meno, mi so arrangiare.

Comportati da padre almeno con mia sorella, che è piccola ed ha ancora bisogno di te. Non farla soffrire, come hi  fatto fino ad ora, e stalle vicino. “Zia A.” è una santa donna, abbi il massimo rispetto per lei che cresce tua  figlia da sola.

Non ho altro da dirti adesso. Forse un domani sarò io a cercarti, ma fino ad allora, per favore, lasciami vivere in  tranquillità. Sono un uomo oramai, e non più un ragazzino. So quello che faccio. Riguardati.

 

E.

P.s.: Non odiarmi per questa lettera, ma apprezza la mia onestà.